Come ha pronunciato Benigni “Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi”.
Una frase che esprime alla perfezione le sensazioni che sento e le emozioni che provo, che ho scelto di condividere con voi.
Proviamo una paura inconscia per il cambiamento. Vi ci opponiamo una resistenza attiva, collettiva, talvolta trasversale.
Del resto è naturale… la verità è che cambiare costa sacrificio e questo da sempre ci allarma. Il cambiamento contiene dei rischi impliciti e quando è possibile scegliere di non rischiare semplicemente, lo facciamo, perché le cose che cambiano possono farlo anche in peggio.
Il nostro è un atteggiamento legittimo, umano e comprensibile.
Ma, se sapessimo che un cambiamento, ancorché negativo, può salvarci da una conseguenza ancor peggiore, in questo caso come reagiremmo?
Ebbene questa conseguenza esiste ed è proprio quel pericolo di rimanere perennemente fermi, una condizione che non rappresenta più un semplice rischio, dove almeno è possibile giocarsela in probabilità, ma diviene una matematica certezza, quella del fallimento.
Che ci piaccia o no siamo fatti per evolvere come tutto in questo mondo, e quando non lo facciamo, falliamo, senza possibilità di appello.
Siamo tutti consapevoli del pericolo che stiamo correndo, eppure, siamo inspiegabilmente fermi.
Fermo è il Paese.
Ferma è la sua natalità.
Fermo è lo spirito di iniziativa come ferma è la speranza in un futuro più prospero.
Fermo è l’entusiasmo delle nuove generazioni che si sentono soffocate dall’ingombrante peso di un passato che non si scansa mai.
Fermo è il rinnovamento della classe dirigente che quando avviene cambia i volti ma mai la sostanza.
Ferma è infine la politica e uno spirito di riconciliazione nazionale incagliato su fatti, gravissimi, di ottanta anni fa, OTTANTA! Fatti tragici, inqualificabili, la cui memoria rimane una priorità inderogabile, ma accaduti in un tempo che ha più del doppio della mia età.
Stiamo vivendo la più lunga fase di stagnazione mai vista nella storia della Repubblica che perdura ormai da trent’anni, quasi pari a quelli della mia età, sono interi decenni sprecati e sacrificati sull’altare della stabilità. Proprio così, ci hanno abituati a chiamarla con questo nome, stabilità, ma agli occhi di chi lo vuol vedere appare come il più eclatante caso di suicidio assistito di un intero Paese che sapeva brillare e che rischia oggi di spegnersi sempre più privando i suoi cittadini di sogni, prospettive e progressivamente, diritti.
Non ci spaventano allora i cambiamenti, ci terrorizzano le mancate scelte, l’assenza di cambiamenti.
I primi li cerchiamo, se serve li creiamo. Le seconde le combattiamo ferocemente.
Il nostro non è un semplice languorino; è fame.
Siamo affamati di cambiamento, di sacrificio, perché sappiamo che è questo l’unico modo per uscire a testa alta dal pantano in cui siamo finiti permettendo alle generazioni del presente di poter godere dello stesso benessere delle generazioni passate senza per questo compromettere quello delle generazioni future.
E’ una questione di scelte. E’ una questione di futuro.
Alessandro Maculan